mercoledì 8 maggio 2013

Infinite e variegate manifestazioni


Non ce la faccio più. È più forte di me. Ormai (in effetti da un po') non so più usare la locuzione 'persona con disabilità' (o gli altri orpelli similari), né per me, né per gli altri (né per raccontare della mia condizione fisica; né, certo incoerentemente visto che lo sto facendo, per scriverne). Perché sempre questo bisogno di specificare 'sono oppure è una pcd'? Certo scritto così pare il nome di un insetticida... Non sarà che il concetto di disabilità (e i suoi orridi sinonimi) esiste e persiste solo perché ancora molti credono (crediamo) nel modello 'essere umano omni-abile' e agiamo di conseguenza (anche non agendo...sigh!)? Penso proprio sia così. Credo ora come non mai che esista semplicemente la vita delle persone, nelle sue infinite e variegate manifestazioni. Non sarebbe ora di prenderne pienamente atto, andando al di là di quello che è un inutile e castrante preconcetto, e facendo derivare quindi i necessari e adeguati atti? È il solo modo per favorire il crearsi di occasioni e opportunità  di coltivare interessi e predisposizioni - che vanno sempre al di là delle condizioni più evidenti - per realizzarsi come persona, senza altri epiteti o specifiche di sorta. In fin dei conti per sperimentare la felicità, che - al pari dell'infelicità - è accessibile a tutti. 
(Suggerirei un esercizio di consapevolezza: provare a pronunciare a voce alta la succitata locuzione, o anche solo la seconda parte, più e più volte, articolando bene, lentamente, e stare a sentire che succede fisicamente...)