mercoledì 29 febbraio 2012

Incontrarsi


pubblicato tra le lettere al direttore su Bresciaoggi del 18 agosto 2006


Un pomeriggio estivo non troppo caldo, durante i miei nomadismi sulle piste ciclabili e non del mio territorio, a bordo della mia carrozza (alias sedia a rotelle elettronica per esterno - specifico perché  qualcuno ha pensato ad un calesse tirato da un pony, rivelandomi poi, scoperto l’arcano, che la cosa gli suonava un po’ strana), ho fatto caso ad un piccolo assembramento di persone all’angolo di una strada, dalla parlata intuivo che provenivano dall’estero. Mi sono chiesto, guardandoli, se oggi noi italiani abbiamo ancora dei punti di ritrovo nel paese o nel quartiere dove ci si ritrova senza darsi appuntamento, dove si sa di trovare qualcuno con cui passare un po’ di tempo. Certo, l’oratorio, il bar...
Ho l’impressione che dalle nostre parti si sia persa quella che definirei la cultura di quartiere, il sapersi incontrare senza tante pre... non saprei come definirle, precognizioni, preparazioni, appuntamenti, accordi telefonici su giorno ora e luogo per fare quattro chiacchere. E’ vero che oggi la gente è impegnata e i ritmi sono frenetici, ma forse basterebbe meno di quanto si pensa... Mi è piaciuto un giorno trovarmi davanti al cancello di casa un’amica che non mi aveva avvisato del suo arrivo. L’episodio, per altro, ha avuto una certa... magia: io, con un messaggio via etere, le ho chiesto di passare a trovarmi, senza specificare quando; lei - me lo disse una volta tornata a casa - quel giorno aveva dimenticato a casa il telefonino...
Pur raro, non è stato l’unico episodio: marito e moglie, recenti amici, passati a trovarmi a sorpresa, una al mattino (l’ho saputo poi perché ero uscito) e l’altro al pomeriggio dello stesso giorno, e lo scoprono la sera a casa...
E’ vero, sono io il primo ad avere amici sparsi per la provincia e per l’Italia e a frequentare loro e non quelli del paese o del quartiere (allo stesso modo quelli del paese con me); certo, gli amici da frequentare si scelgono per medesimo sentire, interessi comuni e occasioni scelte e forse pretendo troppo da questo mondo in evoluzione (...ma verso cosa?).
Nello stesso pomeriggio di gita (un sabato?... mah!) ho fatto caso che in giro ci sono molti musi lunghi, occhi fissi davanti a sé, ognuno... perso nei suoi pensieri o nel cellulare (mi chiedo a volte cosa ci faccia una persona col cellulare in mano mentre si fa un giro in bicicletta!). Così, seduta stante (...eh eh eh, divertente il lapsus!), ho iniziato a salutare chi incontravo, con un ‘salve’ oppure ‘ngiorno’, ‘buondì’. La cosa divertente è che ci si saluta all’ultimo secondo, quasi per titubanza, per cui alle orecchie di uno arriva un veloce e flebile ‘...lve’ e all’altro un appena percettibile ‘...rno!’.
Interessante è notare le diverse reazioni dei salutati: c’è chi ti risponde con un sorriso, chi saluta per primo, chi ricambia, ma lo fa con una faccia molto seria e il collo rigido, chi guarda torvo e non risponde, qualcuno rimane addirittura sorpreso e saluta volentieri.
Devo anche dire che non saluto proprio tutti, ci sono dei ‘treni’ di ciclisti che sfrecciano  a pedalate tanto potenti che salutarne uno per tutti è già tanto; e poi non è così facile avendolo fatto solo qualche volta in montagna (là ci si saluta quasi tutti); certe persone hanno un’aria talmente seria e burbera che mi dico ‘questo non gradisce’ e passo oltre.
Però riprendere quest’abitudine mi dà un certo senso di leggerezza, di scambio, di reciprocità, di libero incontro. Non cambierà il mondo (mi sono stupito un giorno di quanti cerchi d’onda può generare un sassolino gettato in un lago), ma almeno la passeggiata in sulle vie ciclo-pedo-rotabili diventa più spensierata.


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