martedì 28 febbraio 2012

Piccoli pensieri

“Raccontami qualcosa di bello”: io non ho spiccicato parola.
Forse perché alle domande di questo genere non si addice una tale precisione.
La precisione di questo tipo mi ha sempre bloccato.
Stavolta un po’ meno, perché di fronte al mio silenzio ho provato un misto di meraviglia e di pace: meraviglia perché in quel momento, a quanto pare, non avevo niente di bello da raccontare, e pace perché nella mia quotidianità non avevo niente da distinguere tra bello e brutto.

La ragazza sul lago.
Mi è passata davanti e poi è ripassata, in attesa presumibilmente di qualcuno che tardava.
Sono entrato nel suo alone o lei è entrata nel mio; improvvisamente è nato l’impulso interiore di parlarle, di iniziare un dialogo con una frase qualunque… “La fanno aspettare”…
Ho capito che è… sarebbe… facile entrare in contatto, aprire un rapporto, durasse anche pochi minuti e poi mai più.
Ma di fatto è facile, come spontaneo è l’impulso del momento, che nasce senza preavviso e ti invade; solo che poi con esso nasce l’imbarazzo di provarlo, l’imbarazzo perché gli occhi seguono quella direzione e guarderebbero l’altra in continuazione, cosicché ciò accade solo quando è girata di spalle o ad una certa distanza.
Allora resta la domanda, più certezza che dubbio: certo non è casuale che per qualche minuto siamo rimasti io e lei, a breve distanza, senza che nessun altro passasse di lì…!
Va’ be’, comunque sia andata, ho sentito delle cose che ho ascoltato e mi hanno fatto e mi fanno riflettere.

“Non seguire il sentiero già segnato. Va’ invece dove non vi è alcun sentiero e lascia una traccia”. ( Sergio Bambaren)
In effetti mi sento sul mio sentiero, un cammino non tracciato da altri.
Sono passati anni da quando ho deciso di non seguire altro se non ciò che sento nascere da dentro, benché tutto sia iniziato con il lasciare ciò che ormai non sentivo mio, più che aver trovato il mio sentiero da tracciare. Ma era l’inizio inconsapevole del mio…cammino, percorso, disegno. E benché oggi non sappia dare una definizione sintattica, sento e so di essere sul mio sentiero, con tutto ciò che è ancora da conoscere e da concretizzare.

Sono nato… decine e decine di volte, e ora mi rendo conto che ogni volta è stato necessario perché nascessi adesso, adesso che ho compiuto (completato, finito) i 37.

Le aperture del sé, dell’anima, della forza vitale…avvengono per gradi ed ogni grado è una volta per sempre. Nei giorni successivi mi sono sempre sentito spaesato, con l’acuirsi di reazioni, tipiche del grado precedente, per cui divento iperattivo, impaziente, irritabile… Se da un lato attendo le aperture con impazienza, dall’altro, una volta avvenute, mi sento più fragile, indifeso, almeno per qualche giorno, magari qualche settimana. E’ come cambiare casa, è necessario un periodo di adattamento.
Solo ora capisco che questi segnali di regressione indicano  che l’apertura è avvenuta e che sono solo “reazioni” di assestamento, ma non scalfiscono il traguardo raggiunto.
Segnale di crescita avvenuta è la capacità di accogliere queste mie reazioni con comprensione e pazienza, alla fin fine di accettare le mie incoerenze, incongruenze, meschinità, con un sorriso, perché sono desiderio spontaneo di difesa, cosciente che comunque ciò che mi è successo è un bene e niente può scalfirlo.

Incontrando un’amica ieri sera ho capito una cosa importante: ho capito, o credo di aver capito, l’effetto che faccio alle donne o a quelle che provano un interesse per me, e cioè che rimangono frenate di fronte al mio stato fisico. E l’ho capito perché vissuto ieri sera in prima persona: ho provato, per l’amica che conosco da anni, un nuovo interesse, a partire dalla sua voce; dopo averla rivista, mi sono trovato a pensarla in più riprese, lasciandomi trasportare, forse proprio perché mi sembrava paradossale. Invece poi mi ha letteralmente bloccato il suo aspetto fisico. E mi sono reso conto quanto anche questa caratteristica conti. E’ un limite da superare? Sinceramente non lo so, quello che so è che viene tenuto in considerazione dai più, me compreso.

Ti ho vista, amica mia, qualche minuto prima che iniziasse lo spettacolo, già seduta in attesa. Mentre arrivo ti guardo, fino a che i tuoi occhi verdi incontrano i miei. C’è tensione, volgo lo sguardo davanti a me e faccio un passo per allontanarmi.
Subito però decido di avvicinarmi e, senza guardarti, ti prendo per mano: mi rendo conto che grande è il desiderio di stare un po’ con te, parlarti, vederti, al punto che, dopo pochi istanti…mi sveglio.

Ancora sento il bisogno di un mentore, di qualcuno che mi dica cosa fare nei momenti di panico, quando non sono sicuro di niente che riguardi me stesso, e tutto quello che riesco a fare è urlare.
Il fatto è che rendo mentore la persona che sento forte, che sa comprendermi, che mi sprona senza indugi e ciò che mi dice diventa l’assoluto per me. Per questo impiego tutte le mie energie, cadendo però nella trappola del “o ci riesco o non valgo niente”, con la conseguente colpa da dare al mondo, oltre che a me stesso.
Il mentore, allora, diventa il tiranno… o per meglio dire, il “pusher” della mia personalità, trovata un’immagine adeguata, la sfrutta per poter esercitare la propria influenza sul sé… sul me, che ho ancora bisogno, per fortuna meno che in passato, di essere punzecchiato dall’esterno perché concretizzi, senza remore, ispirazioni e idee.

E’ vero che io, in effetti, ho avuto un unico vero mentore nella mia vita; in verità è una mentore (o mentrice…mentora?), che non posso non considerare l’unico vero mio mentore perché non ha lasciato in me nessuna immagine giudicante.  E ho capito questo qualche ora fa.
Da questo ricavo che il vero mentore, e forse anche di più, il vero maestro, è colui che non lascia traccia di sé nell’allievo o discepolo che sia, né negativa né positiva, perché tutto ciò che ha a cuore è il bene dell’allievo, il suo fine è che il discepolo superi le proprie paure, i propri blocchi, conosca le proprie capacità e le metta a frutto. E tutto questo avendo grande rispetto dei suoi tempi, anche quando viene voglia di prenderlo a calci nel sedere, pur di farlo progredire.

La voce è lo specchio dell’anima.
E si colora di tutte le sue tonalità e sfumature.

La normalità di questo mondo, e probabilmente di tutti i mondi, è la diversità. Chiunque, me compreso, creda che la diversità è l’eccezione, è vittima di una grande illusione.

Ogni passo di crescita è accompagnato dalla paura di restare soli, perché ogni evoluzione personale porta più vicino alla propria unicità e ci rende emotivamente più autonomi dagli altri; questo fa paura, paura che gli altri, visto che cambiamo, non abbiano voglia di stare con noi.
Ma ogni passo di crescita coinvolge inevitabilmente le persone con cui interagiamo: se in un primo momento la nostra evoluzione può lasciare gli altri un po’ disorientati, dà ad essi la possibilità, forse l’ispirazione, per riscoprire la propria identità e far crescere anche il rapporto reciproco.

Saggezza spiccia.
“Chi va piano va sano e va lontano”: però nessuno ha mai detto quanto piano bisogna andare per evitare di farsi male o molto male... se non malissimo! 

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