mercoledì 29 febbraio 2012

Neologismi



pubblicato su DM n.159 settembre 2006 con titolo "Perché non diversatili?"

Ormai noi, persone con problemi fisici o psichici, carrozzati o tripodizzati, più o meno presenti a se stessi, siamo abituati ad essere nominati ed etichettati con termini che si sono evoluti e trasformati nel tempo come si evolvono (o involvono) le mode e gli usi quotidiani di ogni società (quelle occidentali di sicuro); siamo di quelli riconoscibili, e nell’essere riconoscibili suscitiamo nelle persone una certa inquietudine, come, in fondo, la suscitano tutte le categorie di persone che devono essere riconosciute. Non sto ad elencarle, perché tanto le conosciamo tutti benissimo.
L’evoluzione, in particolare, della terminologia a nostro carico è stata caratterizzata dalla ricerca, un po’ intellettualista (o intellettualoide), di parole che fossero via via meno ghettizzanti, se non addirittura meno offensive (così almeno credono coloro che le hanno create). Così si è passati dall’essere definiti handicappati (termine sulla cui origine sarebbe interessante disquisire e che forse non è stata la prima definizione che ci ha riguardati - in Francia viene usato ancora oggi) a portatori di handicap (una sorta di facchini di sventura), alla successiva (credo) disabili (alias incapaci), fino alle più recenti definizioni (divenute parte integrante addirittura di una legge) che variano da persone-diversamente-abili (tutto attaccato come l’indirizzo di un sito web, che tra l’altro è virtuale) a quella specie di neologismo improbabile che è diversabili.
Che ci volete fare? Sembra che senza definizioni, categorie, indici puntati ed esigenza di trovare termini di sintesi, non possiamo assolutamente vivere. Quale sarà stata, vien da chiedermi or ora, la prima distinzione fra categorie di persone? Ricchi e poveri? Pensandoci bene sono parecchie le persone con difficoltà motorie o intellettive che non hanno grandi disponibilità economiche, se non addirittura che vivono poco sopra (o sotto) il livello della miseria. Non è un dettaglio che siano tra le persone che più avrebbero bisogno di denaro per...soddisfare esigenze di prima necessità. Ma anche questo è un altro capitolo.
Per tornare alla questione che ho inteso affrontare in queste righe, sento un irrefrenabile desiderio di lanciarmi in una ricerca spasmodica e affinata all’estremo di nuovi termini che definiscano ancor meglio (o non definiscano affatto) la condizione di noi, uomini e donne, diversi e diversificati (o diversificanti... diversignificanti! Ah, questo sì!).
In particolare verrebbemi da considerare eventuali varianti sintattiche e ortografiche, nevvero, dei termini più recentemente... creati (sicuramente da persone definite - forse da loro stesse - normodotate: altro termine da sviscerare, semmai). Perché non trasformare il neologismo diversabili con uno del tipodiversatili? Una persona versatile sa trovare diverse vie per esprimere la propria personalità, sa adattarsi e trovare soluzioni alle situazioni più disparate. Chi meglio, dico io, di una persona malata, fisicamente o mentalmente o, perché no, emotivamente, sa trovare nuove vie di espressione o nuove soluzioni di movimento, o di abitabilità, o di qualsiasi altro problema si presenti ogni volta che va in vacanza o va dal panettiere o cerca di farsi strada tra la folla che non guarda dove mette i piedi? Se non sbaglio il suffisso di- (o infisso?) rende doppio il significato di una parola, n’est-ce pas? Del tipo... dialisi, oppure distrofia, oppure digeridoo...? No, forse non è proprio così. Ma d’altronde le persone con disabilità, altro che doppiamente versatili! Siamo anche tri, quadri, penta-versatili! Siamo dei super-eroi! A noi dovrebbero dare la medaglia al valore o essere nominati cavalieri della tavola rotonda!
In ogni caso, ognuno di noi, persone con qualche problema ritenuto abbastanza grave da limitarci nel vivere quotidiano, siamo quello che siamo, e al di là di come la gente ci definisce o ci etichetta, o ci limita con le proprie barriere mentali, possiamo vantarci di essere profondamente reali, non si può barare (anche se molti provano ad imitarci), non c’è da fare un atto di fede. I primi però che devono aprire gli occhi siamo noi; noi i primi che devono superare le barriere interiori, i primi che di fronte ad un limite di siffatta misura, sanno trovare il senso profondo della propria esistenza. E proprio perché così sfacciatamente limitati ed evidenti, sarebbe utile che il senso della nostra esistenza lo trovassimo, al di là del nostro limite, un po’ più in profondità.

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