mercoledì 29 febbraio 2012

QUEL CHE SI E’

pubblicato tra le lettere al direttore su Bresciaoggi del 4 agosto 2006

Ho potuto vedere un video su Tiziano Terzani, composto soprattutto da suoi interventi audio e video fatti durante la sua intensa vita e quelli più recenti da cui è nato il suo ultimo libro, curato dal figlio Folco. Mi ha colpito la sua libertà interiore, una libertà che l’ha portato ad essere ciò che è stato e ciò che è ancora oggi, anche per chi come me lo conosce pochissimo. Ricordo un particolare riguardante i tagli dei suoi articoli, fatti per motivi di vario genere, da parte di chi curava l’edizione del giornale per il quale scriveva: diceva Terzani che lui si sentiva libero, o forse sentiva il dovere, di scrivere per filo e per segno ciò che pensava e lasciava altrettanto libero l’incaricato di apportare i tagli che meglio credeva ai suoi pezzi; poi lui, comunque, utilizzava gli avanzi per scrivere i suoi libri.
La cosa su cui riflettevo maggiormente mentre guardavo il servizio, più che altro ascoltavo, è che Terzani non ha voluto diventare quel che è diventato, ma ha soltanto messo in circolo le sue riflessioni, le sue idee, le osservazioni fatte durante le sue migrazioni per il globo, il resto è venuto da sé. La mia riflessione riguarda un punto che ritengo essenziale: non è importante quante persone ti conoscono o quanti libri o dischi (??) sei riuscito a pubblicare; quello che conta è trovare la propria coerenza e la propria via, senza nasconderla o esigere che venga conosciuta dal mondo solo a particolari condizioni. Tanto più che oggi c’è quasi una sorta di... anzi, c’è proprio un intasamento di gente che scrive, compone, canta e vuole dire la propria, per cui comincio a pensare che sia già buona cosa avere il mio (piccolo) angolo di cielo e ciò che viene in più non può che essere provvidenzialmente ben accetto.
Un’altra riflessione di questi giorni si lega un po’ a questo. Mi succede (per fortuna non sempre, se non raramente) che quando racconto delle canzoni che scrivo, della radio, dei racconti, le persone (probabilmente per i soliti preconcetti duri a morire nei confronti delle persone con disabilità) mi dicano: ‘Ah, ecco, almeno ti passa il tempo’. Le prime volte mi dicevo: ‘mi passa il tempo? come mi passa il tempo? dò spazio alla creatività ed è solo passare il tempo?’. Ora come ora mi vien da pensare che quello che sono non dipende da come gli altri mi vedono o cosa pensino al riguardo (anche se questo a volte crea problemi... eh!) o cosa concretamente riesco a far conoscere delle mie creazioni. Certamente internet dà delle possibilità a questo riguardo, ma allo stesso tempo è una tale babele, sia nel bene che nel male, che è già tanto se gli amici, che io stesso avviso (eh eh eh!!), leggono o ascoltano ciò che scrivo, recito o canto.
Cambia la prospettiva trovare la pace in ciò che si è, piuttosto che esigere ciò che si vorrebbe di più: non è più importante produrre, diventa essenziale essere.

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