pubblicato
tra le lettere al direttore su Bresciaoggi del 4 agosto 2006
Ho potuto vedere un video su Tiziano Terzani, composto soprattutto
da suoi interventi audio e video fatti durante la sua intensa vita e
quelli più recenti da cui è nato il suo ultimo libro, curato dal
figlio Folco. Mi ha colpito la sua libertà interiore, una libertà
che l’ha portato ad essere ciò che è stato e ciò che è ancora
oggi, anche per chi come me lo conosce pochissimo. Ricordo un
particolare riguardante i tagli dei suoi articoli, fatti per motivi
di vario genere, da parte di chi curava l’edizione del giornale per
il quale scriveva: diceva Terzani che lui si sentiva libero, o forse
sentiva il dovere, di scrivere per filo e per segno ciò che pensava
e lasciava altrettanto libero l’incaricato di apportare i tagli che
meglio credeva ai suoi pezzi; poi lui, comunque, utilizzava gli
avanzi per scrivere i suoi libri.
La cosa su cui riflettevo
maggiormente mentre guardavo il servizio, più che altro ascoltavo, è
che Terzani non ha voluto diventare quel che è diventato, ma ha
soltanto messo in circolo le sue riflessioni, le sue idee, le
osservazioni fatte durante le sue migrazioni per il globo, il resto è
venuto da sé. La mia riflessione riguarda un punto che ritengo
essenziale: non è importante quante persone ti conoscono o quanti
libri o dischi (??) sei riuscito a pubblicare; quello che conta è
trovare la propria coerenza e la propria via, senza nasconderla o
esigere che venga conosciuta dal mondo solo a particolari condizioni.
Tanto più che oggi c’è quasi una sorta di... anzi, c’è proprio
un intasamento di gente che scrive, compone, canta e vuole dire la
propria, per cui comincio a pensare che sia già buona cosa avere il
mio (piccolo) angolo di cielo e ciò che viene in più non può che
essere provvidenzialmente ben accetto.
Un’altra riflessione di questi
giorni si lega un po’ a questo. Mi succede (per fortuna non sempre,
se non raramente) che quando racconto delle canzoni che scrivo, della
radio, dei racconti, le persone (probabilmente per i soliti
preconcetti duri a morire nei confronti delle persone con disabilità)
mi dicano: ‘Ah, ecco, almeno ti passa il tempo’. Le prime volte
mi dicevo: ‘mi passa il tempo? come mi passa il tempo? dò spazio
alla creatività ed è solo passare il tempo?’. Ora come ora mi
vien da pensare che quello che sono non dipende da come gli altri mi
vedono o cosa pensino al riguardo (anche se questo a volte crea
problemi... eh!) o cosa concretamente riesco a far conoscere delle
mie creazioni. Certamente internet dà delle possibilità a questo
riguardo, ma allo stesso tempo è una tale babele, sia nel bene che
nel male, che è già tanto se gli amici, che io stesso avviso (eh eh
eh!!), leggono o ascoltano ciò che scrivo, recito o canto.
Cambia la prospettiva trovare la
pace in ciò che si è, piuttosto che esigere ciò che si vorrebbe di
più: non è più importante produrre, diventa essenziale essere.
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